Comunicazione

Sicuro sia andata proprio così?

Cinque gruppi composti da 9 persone ciascuno.
A tutti i gruppi vengono mostrati alcuni video di un incidente tra 2 automobili ed a tutti i gruppi viene chiesto, tra altre domande, di stimare ed indicare la velocità delle 2 vetture al momento dell’impatto. La domanda viene posta però ai vari gruppi in modo differente: ad un gruppo viene chiesto di stimare la velocità delle auto quando si sono scontrate, ad un altro gruppo quando sono entrate in collisione, ad un altro ancora quando sono andate a sbattere, al quarto gruppo quando si sono urtate ed a un ultimo gruppo quando sono entrate in contatto. La cosa singolare è che la velocità che ogni singolo gruppo ha stimato cresceva in modo proporzionale all’intensità della parola usata nella domanda, per cui la velocità supposta dal primo gruppo, a cui era stata posta la domanda con l’espressione “si sono scontrate”, era decisamente superiore alla velocità stimata dal gruppo a cui era stata posta la domanda usando il verbo “entrate in contatto”, nonostante tutti i gruppi avessero visto gli stessi filmati.

Questo è un esperimento realmente condotto dagli psicologici E. Loftus e J. C. Palm nel 1974 per indagare l’influenza del linguaggio sulla memoria (per chi avesse la curiosità di conoscere i dettagli dell’esperimento e di un successivo esperimento ad esso collegato, rimando ad uno dei tanti link in rete, https://www.simplypsychology.org/loftus-palmer.html). Il linguaggio, ed in modo specifico i diversi termini usati nella domanda che era stata posta, avevano influenzato la percezione e dunque la ricostruzione mnemonica dell’incidente visto o comunque aveva influenzato l’interpretazione dell’evento e la sua costruzione là dove il ricordo era confuso (integrando in alcuni casi anche elementi e dettagli non presenti nei filmati).

Spostando i risultati del test su un altro piano potremmo riflettere facilmente sull’influenza di ciò che ascoltiamo, leggiamo o ci viene riferito sulla nostra interpretazione dei fatti e di come le parole usate nelle informazioni che riceviamo contribuiscano a creare in noi quelle immagini di fatti che poi diventano “fatti reali” (generando in noi, di conseguenza, anche specifici stati d’animo ed emozioni).

Ma facciamo ancora un passo in più; tutto quello che abbiamo appena detto potrebbe essere valido anche per le parole e il linguaggio che, consapevolmente o inconsapevolmente, usiamo verso noi stessi. Pensiamoci un attimo; quante volte ci capita di rivolgerci interiormente a noi stessi durante la giornata con frasi del tipo: “Sono sempre il solitoNon ne faccio una giustaE’ stato un fallimentoSono proprio un incapaceNon ce la farò maiGli altri sono migliori di meDico solo cose banali, meglio che sto zitto … etc – e non sarebbe difficile continuare la lista – .

I messaggi che ci diamo influenzano i fatti che ricordiamo o meglio “come li ricordiamo” e la loro interpretazione; il linguaggio che usiamo per descrivere ciò che siamo e ciò che facciamo contribuisce a creare dentro di noi una particolare immagine della realtà, influenza l’interpretazione, la costruzione e la ricostruzione nella nostra memoria di eventi e fatti della nostra storia, della nostra vita, della nostra quotidianità.

Se così è, quando parliamo interiormente con noi stessi, vale allora la pena sostituire “Mai/sempre” con “oggi”, sostituire “fallimento” con “tentativo”, “migliore” con “diverso”, “disastro” con “non perfetto” , “sono un incapace” con “posso migliorare”, “devo assolutamente” con “potrei”, “impossibile” con “difficile”.

Non si tratta di “addolcire la pillola”, è piuttosto un modo per evitare di influenzare, interpretare e deformare ciò che viviamo e ciò che ci capita con le nostre aspettative, i nostri “ideali”, i nostri giudizi.

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