Comunicazione

Mannaggia a quel progettista!

Lavoro spesso al computer e quando lo faccio mi piace posizionarmi nella penisola che ho in cucina davanti ad una grande finestra per guardare fuori le colline e godere della luce naturale che entra. Ogni volta che mi metto a lavoro compio lo stesso rituale: prendo il cavo dell’alimentazione del PC, lo inserisco nel suo lato destro e poi sono costretta a girare il cavo tutt’intorno al computer ed intorno al piano della penisola per poterlo attaccare alla presa che si trova esattamente al lato opposto ed ogni volta provo fastidio e mi trovo a pensare “Ma come l’hanno progettato questo computer? Non è funzionale!”. Non ridere, o meglio aspetta a ridere perché non è finita qui.

Qualche tempo fa, per dei motivi che non sto qui a spiegare, mi sono trovata a lavorare in casa di mia sorella. Anche lì ho ripetuto il mio solito teatrino: ho preso il cavo dell’alimentazione, l’ho collegato al computer nella sua parte destra ma, con mia grande gioia, la presa al muro era dalla parte “giusta”! Nessun intreccio, nessun filo che tirava, massima libertà di movimento! Ho provato sollievo, un benessere interiore quasi in quella “facilità” ed ho pensato ad alta voce “Finalmente! Così è ben progettato, così funziona!”. Era chiaro ed ovvio che la soluzione era nella presa ed altrettanto chiaro che ne ero razionalmente consapevole eppure interiormente ho reagito come se fosse stato il computer ad essere modificato! Ora puoi ridere a buon diritto ed onestamente ho riso anch’io.

Questo episodio divertente ed anche un po’ ridicolo mi ha portato a riflettere a quante volte, per situazioni meno evidenti ed in modo meno consapevole, avrei potuto mettere in atto quel “meccanismo” e che infondo, in modo analogico, quella situazione poteva ben rappresentare degli atteggiamenti che ci capita di assumere nelle situazioni che viviamo ogni giorno.

Innanzitutto pretendevo che, per soddisfare tutte le mie esigenze, fosse “l’altro” a cambiare (in questo caso si trattava del mio povero computer ma puoi leggerci dietro una persona, una relazione, una situazione che vivi), evitandomi così lo sforzo e la fatica di muovermi, l’impegno e la responsabilità di cambiare io, di cambiare in questo caso il mio posto, la mia postazione.

In secondo luogo pretendevo che una “situazione” potesse soddisfare tutti i miei bisogni: la bellezza della finestra, con la vista sulle colline e la luce del sole, ed anche la comodità e la funzionalità del cavo che non si intreccia; ed in questa mia pretesa ho finito per rendere assoluta una situazione particolare: se il computer non è come dico io, come io vorrei, è un computer progettato male, non funzionale, è “sbagliato”. Penso a quante volte ci capita di rigettare, “buttare”, rifiutare completamente una situazione o un rapporto, quante volte ci capita di pensare che quella situazione, quel rapporto, quella persona “non va”, “è sbagliata” perché non può darci tutto ciò che vogliamo o che pretendiamo ci dia.

Avrei potuto apprezzare la luminosità della postazione in cucina ed accettare che lì non potevo avere tutta la comodità e la facilità dell’uso del computer, senza necessariamente pensare che il PC non andava, o magari potevo accettare di muovermi e di andarmi a cercare “altrove” quella comodità, se questa era la mia priorità, senza per questo comprare un altro computer.

Può capitarci a volte di dare agli altri, o ad “altro” al di fuori di noi, la responsabilità di soddisfare tutti i nostri bisogni, le nostre necessità, le nostre aspettative piuttosto che prenderci noi la responsabilità di muoverci, di cambiare “posto”, di andarci a cercare o creare le condizioni per soddisfare quei nostri bisogni. Ci è più facile restare fermi a criticare una certa situazione o una certa persona piuttosto che fare qualcosa e darci la spinta per cambiare.

L’ultimo elemento non meno importante che può stimolarci a riflettere è: l’aspettativa può diventare un incastro. L’aspettativa rigida di voler e “dover” trovare in una specifica situazione tutto ciò che volevo (per rimanere nella metafora che fin qui ho usato, la praticità del filo e la bellezza del paesaggio e della luce), mi impediva di vedere “oltre” e di vedere “altro” e non solo, mi portava a squalificare totalmente quello che di buono avevo, perché quel buono era parziale e non perfetto. E più io mi dicevo che se non era così come doveva essere allora non andava bene niente, più provavo dentro di me fastidio, e più provavo fastidio e mi innervosivo e più mi convincevo che quella cosa non andava bene. Rimanevo bloccata in un circolo vizioso in cui niente cambiava e niente poteva cambiare a meno che non avessi accettato io di cambiare in qualcosa.

Ho giocato un po’ estremizzando una situazione sicuramente banale e di facile risoluzione, ma prova per un attimo a rileggere quanto ti ho raccontato sostituendo il computer con una situazione che vivi, con il nome di una persona che ti è accanto, o con una relazione della tua vita e fammi sapere se tutto questo parla un po’ anche di te.

Magari ti dice qualcosa rispetto a ciò che attraversi in questo momento o magari, semplicemente, ti porterà a pensare che, in fondo, quel povero progettista può essere assolto!

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